Parlando di Dostoevskij
La Bibbia e in particolare la prima traduzione in russo del Nuovo Testamento sarà l’unico libro che il romanziere russo potrà tenere con sé nei quattro anni di prigionia in Siberia, oltre ad essere l’unico da cui non si separerà mai. Ma seguire la rete dei riferimenti biblici più o meno espliciti in un’opera letteraria può condurre ad esiti molto diversi. Una citazione entra infatti nel testo sempre creativamente diventando parte di una nuova narrazione e per questo assume significati altri, mentre colora in modo inedito il racconto in cui è inserita. Ad esempio ne L’Idiota, il secondo grande romanzo di Dostoevskij, la maggior parte delle citazioni bibliche sono tratte dall’Apocalisse. Eppure, nonostante i tanti riferimenti è tutt’altro che immediato acquisirne la suggestione. L’atmosfera dell’ultimo libro della Bibbia è infatti trasmessa non solo con riferimenti espliciti, ma sembra contribuire a delineare il mondo ritratto di cui diviene lettura, mentre stride il contrasto tra la forza dei versetti riportati e la voce ambigua di chi li declama. Pur non presentando comunità religiose facilmente connotabili da riti o pratiche di tipo devozionale, i principali romanzi dello scrittore russo, oltre alle numerose citazioni, contengono almeno un brano biblico, vero testo nel testo, che assolve sempre ad una funzione di rottura rispetto al mondo ritratto. E così troviamo la resurrezione di Lazzaro in Delitto e Castigo, la lettera alla chiesa di Laodicea ne I Demoni e le nozze di Cana ne I fratelli KaramazoV
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