La cultura non ci immunizza dalle infezioni psichiche e l' "esperienza" non è sinonimo di saggezza, così come i "titoli" non sono sinonimo di competenza (di Emanuele Casale)
Scriveva il filosofo francese Montaigne: «È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena.»
Già, perché un individuo "pieno" di cultura non è detto che sia anche pieno di intelligenza. Possiamo disporre di una grande cultura eppure rimanere idioti o insensibili. La cultura di un individuo non è garanzia di intelligenza o sensibilità, le due cose non sono legate da nesso di causalità, per quanto alle volte una persona sensibile e intelligente possa avere anche una grande cultura, non è quest'ultima a fondare l'intelligenza e la sensibilità in quell'individuo.
Specie in questi due anni di pandemia psichica abbiamo toccato con mano tale verità: persone acculturate, intellettuali, hanno dimostrato tutta la loro insensibilità e la loro piccola intelligenza (come la chiamava Chuang-Tzu).
La cultura non ci immunizza dalle infezioni psichiche. Dobbiamo ritornare all'intelligenza del cuore, quella che gli antichi ben conoscevano e a cui miravano nella loro esistenza individuale, di cui la cultura ne è solo una stampella tra le tante e neanche quella preferenziale.
Ricordo Jung quando sottolineava spesso il fatto che a capirlo non fossero quasi mai gli psicologi o gli psichiatri suoi colleghi, bensì la "gente comune" [cfr. "Jung Parla. Interviste e incontri", Adelphi]
Conosciamo tantissime persone prive di una qualsiasi cosiddetta "cultura", erudizione o nozioni, eppure intelligentissime su un piano umano e di vita.
Così come il falso mito dell'esperienza=saggezza, anche quello della cultura/titoli=intelligenza/competenza è caduto oggi in maniera miserevole.
L'intelligenza del cuore credo sia quella legata non soltanto all'Io cosciente - altrimenti è mera hybris - ma in primis quella che rimane in relazione con l'inconscio, con lo sconosciuto, con l'invisibile, con l'Altro.
(di Emanuele Casale - Psicologo Clinico)
Scriveva il filosofo francese Montaigne: «È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena.»
Già, perché un individuo "pieno" di cultura non è detto che sia anche pieno di intelligenza. Possiamo disporre di una grande cultura eppure rimanere idioti o insensibili. La cultura di un individuo non è garanzia di intelligenza o sensibilità, le due cose non sono legate da nesso di causalità, per quanto alle volte una persona sensibile e intelligente possa avere anche una grande cultura, non è quest'ultima a fondare l'intelligenza e la sensibilità in quell'individuo.
Specie in questi due anni di pandemia psichica abbiamo toccato con mano tale verità: persone acculturate, intellettuali, hanno dimostrato tutta la loro insensibilità e la loro piccola intelligenza (come la chiamava Chuang-Tzu).
La cultura non ci immunizza dalle infezioni psichiche. Dobbiamo ritornare all'intelligenza del cuore, quella che gli antichi ben conoscevano e a cui miravano nella loro esistenza individuale, di cui la cultura ne è solo una stampella tra le tante e neanche quella preferenziale.
Ricordo Jung quando sottolineava spesso il fatto che a capirlo non fossero quasi mai gli psicologi o gli psichiatri suoi colleghi, bensì la "gente comune" [cfr. "Jung Parla. Interviste e incontri", Adelphi]
Conosciamo tantissime persone prive di una qualsiasi cosiddetta "cultura", erudizione o nozioni, eppure intelligentissime su un piano umano e di vita.
Così come il falso mito dell'esperienza=saggezza, anche quello della cultura/titoli=intelligenza/competenza è caduto oggi in maniera miserevole.
L'intelligenza del cuore credo sia quella legata non soltanto all'Io cosciente - altrimenti è mera hybris - ma in primis quella che rimane in relazione con l'inconscio, con lo sconosciuto, con l'invisibile, con l'Altro.
(di Emanuele Casale - Psicologo Clinico)
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