"Memorie del sottosuolo" di Fedor Dostoevskij
Dopo la batosta che inevitabilmente ti lascia Nietsche il ritorno a Dostoevskij è una panacea per la mente. Tra l'altro ha ispirato anche Nietsche oltre che molti altri tra cui Orwell che non si è preso neanche la briga di citarlo. Difatti il "famoso" 2+2=4 l'ha spudoratamente scopiazzato da Dostoevskij che proprio in codesto libro esegue un ragionamento con la formula matematica 2×2=4 "il due per due quattro non è vita ormai, signori, ma l’inizio della morte.”
Memorie del sottosuolo: «Disarmonico, inquietante, a volte irritante, ma imperdibile.
«Nel sottosuolo c’è la metafora del nostro io più nascosto».
La vita nel sottosuolo è cupa, priva
di speranze, limitata nelle possibili azioni e nel tempo – dopo i quarant’anni cessa di essere vita – e tuttavia è descritta con sarcasmo quasi allegro, autoironico.
L’io narrante si fa beffe dell’uomo e delle sue piccole attività quotidiane, della sua finzione di vita e del disperato sforzo per mostrarsi all’altezza… non si sa di cosa o di chi.
È perfino simpatico questo ometto così bravo ad autodenigrarsi in tutte le occasioni, mentre cerca il contatto umano e ne rifugge con maldestra permalosità.
Nella narrazione è tutto così realistico:
“Pietroburgo sotto la neve fradicia la
vedi come in una vecchia fotografia
ingiallita… una narrazione tristemente sincera, autentica.”
Dopo la batosta che inevitabilmente ti lascia Nietsche il ritorno a Dostoevskij è una panacea per la mente. Tra l'altro ha ispirato anche Nietsche oltre che molti altri tra cui Orwell che non si è preso neanche la briga di citarlo. Difatti il "famoso" 2+2=4 l'ha spudoratamente scopiazzato da Dostoevskij che proprio in codesto libro esegue un ragionamento con la formula matematica 2×2=4 "il due per due quattro non è vita ormai, signori, ma l’inizio della morte.”
Memorie del sottosuolo: «Disarmonico, inquietante, a volte irritante, ma imperdibile.
«Nel sottosuolo c’è la metafora del nostro io più nascosto».
La vita nel sottosuolo è cupa, priva
di speranze, limitata nelle possibili azioni e nel tempo – dopo i quarant’anni cessa di essere vita – e tuttavia è descritta con sarcasmo quasi allegro, autoironico.
L’io narrante si fa beffe dell’uomo e delle sue piccole attività quotidiane, della sua finzione di vita e del disperato sforzo per mostrarsi all’altezza… non si sa di cosa o di chi.
È perfino simpatico questo ometto così bravo ad autodenigrarsi in tutte le occasioni, mentre cerca il contatto umano e ne rifugge con maldestra permalosità.
Nella narrazione è tutto così realistico:
“Pietroburgo sotto la neve fradicia la
vedi come in una vecchia fotografia
ingiallita… una narrazione tristemente sincera, autentica.”
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