Un buon esempio di diminuzione della propria importanza personale fu Ulisse. Quando capitò tra le grinfie di Polifemo, il destino di Ulisse sembrava segnato: Polifemo era un gigante feroce e antropofago, d’origine divina, e ben consapevole della sua superiorità, a giudicare dal nome, Polyphemos, cioè «uno che fa molto parlare di sé». Oggi diremmo: uno che è davvero qualcuno.
Ulisse ribaltò completamente la situazione, trasformando il vantaggio di Polifemo in uno svantaggio decisivo. «Io sono nessuno», gli disse. Il messaggio era chiaro: «Tu sei soltanto un gigante, e perciò ti comporterai come tale; io invece non ho ruoli, e perciò non ho limiti: posso intuire, inventare, diventare, tentare qualsiasi cosa».
Ma Polifemo non lo capì, e si sa come andò: Ulisse riuscì ad accecarlo, cioè a liberarsi del suo modo di vedere il mondo. È un racconto attualissimo. Oggi, Polifemo è ciò che il mondo vuole che si diventi: un qualcuno egoista, che parla solo di sé e che si è incastrato in qualche ruolo sociale preciso.
Ulisse ribaltò completamente la situazione, trasformando il vantaggio di Polifemo in uno svantaggio decisivo. «Io sono nessuno», gli disse. Il messaggio era chiaro: «Tu sei soltanto un gigante, e perciò ti comporterai come tale; io invece non ho ruoli, e perciò non ho limiti: posso intuire, inventare, diventare, tentare qualsiasi cosa».
Ma Polifemo non lo capì, e si sa come andò: Ulisse riuscì ad accecarlo, cioè a liberarsi del suo modo di vedere il mondo. È un racconto attualissimo. Oggi, Polifemo è ciò che il mondo vuole che si diventi: un qualcuno egoista, che parla solo di sé e che si è incastrato in qualche ruolo sociale preciso.
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